Sappiamo che l'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando avvenuto a Sarajevo da parte di un irredentista serbo viene considerata la causa "occasionale" della Prima Guerra Mondiale, ma alla base del conflitto ci furono situazioni molto più complesse e non riconducibili ad un singolo, seppur gravissimo fatto.
Vediamo quindi le cause principali che portarono il mondo intero ad entrare in
guerra.
IMPERIALISMO
Per Imperialismo si intende quella pratica di espansione in virtù della quale una nazione, più o meno legittimamente, ne conquista un'altra assoggettandola al proprio governo.
Intorno alla fine del 1800 l'Impero Britannico si estendeva in tutti i continenti e la Francia aveva il controllo di gran parte del suolo africano. Il possesso di tutte queste terre
accresceva la rivalità della Germania, che aveva iniziato tardi la sua politica di
espansione coloniale e possedeva solo alcuni territori sul continente africano.
MILITARISMO
Un atteggiamento di tipo militaristico si verifica quando una nazione pone in grande rilievo il potere dell'esercito e degli armamenti ad esso connessi. Alla fine del 1800 le nazioni europee, sempre più divise fra loro, aveva portato ad una grande corsa alle armi. Gli eserciti di Francia e Germania erano più che duplicati fra il 1870 e il 1914 ed era sempre viva quella grande rivalità in campo navale fra Inghilterra e Germania.
NAZIONALISMO
Il Congresso di Vienna , in seguito alle guerre napoleoniche, aveva trasformato la Germania e l' Italia in nazioni profondamente divise. Fu grazie ai movimenti nazionalistici che avvenne l'unificazione d'Italia nel 1861 e della Germania nel 1871. La Francia inoltre non approvava la perdita dell'Alsazia e della Lorena, annesse alla Germania dopo la guerra franco-prussiana e, in molte terre appartenenti all'Impero Austro-Ungarico e in Serbia, c'erano forti gruppi indipendentisti che volevano affrancarsi dal governo che le dominava.
ALLEANZE
Il sistema di alleanze che era andato formandosi in Europa fra il 1879 e il 1914 impediva, di fatto, alle nazioni di decidere liberamente quando e a chi dichiarare guerra, limitando il proprio potere decisionale e accrescendo tensioni fra gli stati.
CRISI INTERNAZIONALI
La crisi marocchina del 1904 vedeva l'Inghilterra cedere lo stato africano alla Francia, ma la popolazione chiedeva fortemente l'indipendenza ed era supportata dalla Germania che
non vedeva di buon occhio l'espansione coloniale della rivale Francia. La guerra venne evitata, anche se nel 1911 i tedeschi organizzarono una forte protesta militate contro il dominio francese e
vennero poi convinti a ritirare l'esercito grazie all'occupazione di parte del Congo francese.
Un'altra crisi minava in
quegli anni la stabilità europea: nel 1908 l'impero Austro-Ungarico occupò la Bosnia facendo infuriare i Serbi che consideravano quel territorio come una loro provincia. La Serbia minacciò di
entrare in guerra contro gli austriaci, aiutata dai Russi. La Germania, allora, si alleò con l'Austria preparandosi per la guerra. Questa guerra venne evitata grazie al ritiro della Russia
dall'impegno di aiutare la Serbia, ma la tensione politica fra le nazioni rimase molto alta, tanto da portare a quello che conosciamo come l'eccidio di Sarajevo, pretesto scatenante della Prima
Guerra Mondiale.
Uno dei grandi problemi durante la Grande Guerra fu quello dell'alimentazione sia per la popolazione civile che per i militari. Le battaglie, la militarizzazione dei territori e le razzie (specie nel Friuli e Veneto orientale dopo Caporetto) provocarono devastazioni nei raccolti e lo svuotamento dei magazzini. Le famiglie nelle retrovie furono vittime di carestie e di malattie dovute a carenze alimentari gravi (come la pellagra) mentre il rancio dei soldati diventava ogni giorno più esiguo e scadente.
La scarsa qualità era dovuta alla scelta di cucinare i pasti nelle retrovie e trasportarli durante la notte verso le linee avanzate. Così facendo, la pasta o il riso contenuti nelle grandi casseruole arrivavano in trincea come blocchi collosi. Il brodo si raffreddava e spesso si trasformava in gelatina mentre la carne ed il pane, una volta giunti a destinazione, erano duri come pietre. Scaldarlo una seconda volta non faceva che peggiorare la situazione, rendendo il cibo praticamente impossibile da mangiare.Di fronte all’enormità della tragedia s’impose ai governi – ma ebbe soluzione solo nel dopoguerra – anche un compito spirituale: far sì che la sepoltura rimandasse a un valore ideale, al mito del soldato sacrificatosi per il bene superiore della patria o per la gloria del suo impero. I cimiteri divennero così, negli anni fra le due guerre, “templi del culto nazionale” (G. L. Mosse), insieme ai monumenti ai caduti che costellano l’Europa.
Cimiteri e sacrari in Italia
Un regio decreto del maggio 1919 istituì una Commissione nazionale per le Onoranze ai caduti in guerra (il Commissariato Onorcaduti, che fa capo al ministero della Difesa, ne è la forma attuale). Un apposito ufficio con sede prima a Udine, poi a Padova inquadrato nel Ministero della guerra ebbe il compito di organizzare l’esplorazione di tutti i campi di battaglia per rintracciare ogni tomba isolata, esumare le salme, ricercare i corpi dispersi, tentare il riconoscimento e raccogliere le ossa. Questa fase del lavoro impegnò più di 3500 soldati e nel 1920 furono raccolte 70.000 salme insepolte e 175.000 da sepolture improvvisate. Era anche un lavoro pericoloso, per le condizioni in cui si trovavano i campi di battaglia. I cimiteri allestiti durante la guerra, che sul fronte italo-austriaco erano più di 2500, furono progressivamente accorpati e ridotti di numero: nel 1934 erano 349 (oggi sono circa la metà); a questi si aggiungevano i numerosi cimiteri civili che contenevano file separate di sepolture militari. Nello stesso periodo si provvide all’allestimento di cimiteri italiani all’estero: in Francia, Belgio, Austria, Macedonia, Albania. Durante il ventennio fascista anche l’allestimento e la cura dei cimiteri di guerra vennero considerati dal regime come un tassello della celebrazione di una guerra vittoriosa e del valore guerriero della nazione. I cimiteri militari, luoghi di riposo e di pace, non furono reputati sufficienti a questo scopo. Si progettò allora di realizzare alcuni Sacrari monumentali nei quali raccogliere in ossari una grande quantità dei caduti sui diversi fronti: sul Carso, negli Altipiani e nel Grappa. Il primo carattere dei Sacrari era la monumentalità: erano strutture complesse cariche di simboli prevalentemente laici, che esaltavano l’eroismo e miravano a risvegliare un sentimento di orgoglio nazionale; un messaggio molto diverso da quello dei semplici cimiteri di guerra con la loro dolente atmosfera di pace e i tanti simboli cristiani. Alcuni dei Sacrari furono inaugurati nel 1938, ventennale della vittoria (ma anche anno cruciale nell’inarrestabile marcia verso la seconda guerra mondiale). A quell’anno risale appunto l’inaugurazione del più grande dei Sacrari, quello di Redipuglia, destinato a raccogliere i caduti delle battaglie del Carso, che contiene le spoglie di centomila soldati, di cui solo 40mila identificati. I campi di battaglia su suolo italiano cominciarono a essere meta di un nuovo turismo della memoria circa dieci anni dopo la fine della guerra; è del 1929 la guida “storico-turistica” del Touring Club Italiano Sui campi di battaglia. L’interesse per questi luoghi non ha fatto che crescere e oggi una rete di “sentieri di pace” copre tutte le regioni dove si è tanto combattuto. Il tratto più spettacolare va dal fronte dolomitico, agli Altipiani e al Grappa: sono stati riattati edifici, trincee, camminamenti di accesso alle linee e sono stati allestiti veri e propri “musei all’aperto”. Concludere le escursioni con la visita al più vicino cimitero di guerra aiuta a dare la giusta dimensione all’esperienza.
A questo link si trovano informazioni (storiche e turistiche) sui cimiteri militari della Grande guerra in Italia.
Nota bibliografica
G. L. Mosse, Le guerre mondiali dalla tragedia al mito dei caduti, Laterza, Bari 1990
J. Winter, Il lutto e la memoria. La Grande guerra nella storia culturale europea, Il Mulino, Bologna 1998
J. Keegan, La prima guerra mondiale, Carocci, Roma 2000
Enciclopedia Treccani, Appendice I (1938), voce “Cimiteri di guerra”
Decisamente meno ironica è la cartina disegnata dall’abile mano dell’artista tedesco Walter Trier, che vuole rappresentare l’Europa all’alba dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Un lavoro di grande valore artistico, ma anche storico.